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sdo home gennaio
Non mi piacciono le commemorazioni, ma l’assenza di un qualcuno a cui si è voluto bene si fa purtroppo sentire ogni volta che una circostanza ce lo riporta alla mente e basta un suono, un posto, una foto, una parola, una data, per rendere quasi palpabile quel buco bianco che ci sonnecchia dentro.
Gli anniversari quasi ci obbligano a ricordare chi non c’è più, ma il vuoto lasciato da chi ha riempito qualche pezzo della nostra vita, non ha nè tempi, nè scadenze: è vuoto e basta!
Valerio era mio amico.
Ingombrante, pasticcione, esagerato, grande bevitore e rigoroso astemio, grasso e magro, romantico e realistico, ironico e tollerante, generoso e Geniale. Si, soprattutto Geniale.
Geniale non solo nel suo mestiere dove riusciva a fotografare momenti di vita e a renderli poesia, ma Geniale soprattutto perchè viveva il suo quotidiano con la spericolata disinvoltura di chi non vuole adeguarsi alle circostanze. Gli opportunismi, i compromessi, i sorrisi di convenienza, non facevano parte del suo repertorio e spesso, in quelle occasioni dove tutte queste apparenze risultano inevitabili, non mancava di mettermi a disagio con la sua distaccata normalità.
Io non sono di certo un campione di camaleontismo, ma a far buon viso a pallosa sorte, sono sicuramente capace.
Valerio invece no.
“Ma questi chi cazzo sono?” sussurrava neanche troppo sottovoce quando lo trascinavamo in qualche “evento” ufficiale.
Si defilava dal tavolo nobile dove gli argomenti mediamente spaziavano tra il fatuo e il vago e lo ritrovavamo, a fine serata, spiaggiato su un divano in compagnia di autisti e bodyguard a dissertare con entusiasmo di marmitte catalitiche e di integratori alimentari oppure appoggiato al bancone del bar con accanto un qualche Prelato in voga, inevitabile tra gli ospiti degli “eventi” di quel tempo, a disquisire di Teologia e Immigrazione.   
Valerio aveva una cultura smisurata, leggeva, studiava e sapeva di tutto, parlava 10 lingue con relativi dialetti e non ostentava mai il suo sapere, ma all’occorrenza spiazzava tutti con la sua puntuale conoscenza.
Lo invidiavo per la sua capacità di non lasciarsi condizionare dalle contingenze, lo invidiavo per  la sua pigrizia che gli permetteva di improvvisare piccoli capolavori quando, a tempo scaduto, doveva consegnare i suoi lavori ed allora era costretto a stupirci con le sue zampate di talento, lo invidiavo per il suo fatalismo che non era mai rassegnazione, ma realismo consapevole.
Valerio era un rivoluzionario e sono sicuro che ha contribuito più lui con le sue piccole storie a far “crescere” il popolo della musica più di quanto non abbiano fatto alcuni conclamati cantautori  ribelli per mestiere.
Non si è mai fatto etichettare, non si è lasciato mai trascinare dalle onde delle politiche in voga, non è mai stato nè di destra nè di sinistra, né di sopra, né di sotto, ma si è limitato ad essere intellettualmente onesto.
Le sue canzoni spaziavano dai batticuori agli eventi storici, dalle favole al sociale, dalla cronaca all’attualità, scriveva di guerre, emarginazioni, stravolgimenti sociali, omosessualità, prostituzione e disagio. Riusciva a trattare con poesia ogni argomento nobilitando anche quelle storie d’amore che all’inizio l’intellighenzia musicale bollava come piccole e banali.
Le sue liriche erano lo specchio del suo modo di leggere la vita.
“Non ti curar di lor, ma guarda e passa” mi ripeteva quando mi vedeva incazzato per una qualche cattiva recensione “Non pretendere di essere sempre apprezzato, spesso hanno ragione anche quelli che non condividi”
Valerio era questo: impermeabile e coerente nel suo eterno disordine, scivolava dalla fantasia alla realtà insegnandomi, nonostante me, ogni volta sempre qualcosa.  
E’ per questo, e per chissà quanto ancora, che mi manca e di sicuro manca a chissà quanti altri.
Non mi piacciono le commemorazioni, ma Valerio se le merita tutte.

Stefano D’Orazio
  



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Ultimo aggiornamento 12 febbraio 2018 ore 22.20



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