BIOGRAFIA - Stefano D'Orazio

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Stefano d'orazio bio
Sono nato a Roma il 12 settembre di una roba come 70 anni fa!
Stefano da piccolo
Sono una Vergine ascendente Capricorno e sebbene di zodiaci non ci capisca un cazzo, mi dicono che sia un rompipalle, e purtroppo hanno ragione: non riesco a non programmare il prima, il durante e il dopo di ogni faccenda, sono preciso fino allo sfinimento soprattutto nell’ambito lavorativo, ne sanno qualcosa i miei eterni colleghi (e non solo loro) che mi hanno dovuto sopportare per un bel pezzo di vita. Nel privato sono invece molto più sciamannato nel senso che non mi appunto gli orari della pipì ne quelli degli innamoramenti, infatti tra le pareti domestiche, mi lasciano pascolare liberamente.

genitori stefano matrimonio
genitori stefano d'orazio
Mio padre e mia madre erano due belle persone, di quelle che non se ne fanno più: tolleranti, ironici, affettuosi e con un’idea della famiglia che ormai la si ritrova soltanto nelle pubblicità.
Lavoravano tutti e due: uno era Caposezione al Distretto Militare di Roma e l’altra faceva parte del personale dell’ONMI (Opera Nazionale Maternità e Infanzia) un istituto che si occupava di orfani, ragazze madri e varie sfighe familiari.

Si sposarono quel 25 Aprile del 1942 proprio mentre l’Italia si barcamenava tra guerra e fame, ma una pioggia provvidenziale li consacrò Sposi Fortunati, e così fu!
Dopo 3 anni nacque mia sorella Paola e 3 anni dopo toccò a me.
Abitavamo a Monteverde una parte di Roma dove il traffico non l’avevano ancora inventato e a casa con noi c’erano i nonni materni che ci tenevano d’occhio mentre i nonni quegli altri, abitavano a Monte del Gallo, un quartiere storico a strapiombo sul Cupolone.
La guerra nel frattempo era finita e l’Italia si andava leccando le ferite riprendendo lentamente abitudini e vita.

stefano d'orazio e sorella piccoli
stefano da piccolo
sorella di stefano d'orazio da piccola
stefano e sorella
Tutto scorreva serenamente: scuola, messa la domenica, i giardini di Villa Sciarra dove ci portavano a giocare e d’estate Marina di Massa dove nella colonia dell’ONMI, trascorrevamo le vacanze.
stefano e sorella
stefano campo scuola
Avevo la fissa per ogni cosa che riusciva a far rumore, oggi direbbero che ero portato per le percussioni, in realtà, mi piaceva far casino! Così a 6 anni la Befana, sollecitata da una mia lettera disperata, mi fece trovare sotto l’albero una batteria di quelle di cartone che si autoestinguono in meno di 48 ore. Ci picchiai sopra per due giorni di seguito per la gioia di parenti e vicini poi la Befana, si convinse di aver fatto una cazzata e approfittando del precario stato dei tamburi cartonati già irrimediabilmente compromessi dal mio “suonare”, me la fece sparire nell’indifferenziata e di batterie non se ne seppe più nulla per diversi anni.
Nel frattempo crescevo tra Lupetti e corsi di nuoto mettendo insieme qualche medaglia, parecchi raffreddori e qualche cicatrice sulle ginocchia.



Appena finite le scuole dell’obbligo, che all’epoca erano facoltative, mi infilai nel Liceo Classico Luciano Manara e quasi contemporaneamente, mi si riaccese la fregola da “batteria”, galeotto fu il primo LP dei Beatles che una mia compagna di classe aveva “importato” dall’Inghilterra e me lo prestò per 24 ore.
Ne fui folgorato. Registrai il tutto sul mio Geloso a tasti colorati e diedi vita alla prima copia pirata della storia. Con quella roba incisa su nastro, trascorsi due settimane ad emulare Ringo e a cercare di “suonare” su una vecchia scatola di scacchi con due mestoli trafugati in cucina  tutti i brani del padellone fino a sfinimento, mio e dei vicini, dopo di che decisi che io la musica non la volevo solo ascoltare, …la volevo fare!

the beatles album
Nel vicino Liceo Kennedy  c’era un complessino da compleanni  alla disperata ricerca di un batterista, lo venni a sapere e mi proposi, stimolato anche dal fatto che i “suonatori”, già all’epoca, cuccavano da bestie. Raccontai, mentendo, che avevo una discreta esperienza e soprattutto che possedevo una batteria (referenza inevitabile per entrare in graduatoria).
Mi diedero appuntamento subito dopo le vacanze di Natale per un provino.
Avevo due settimane per diventare possessore di una qualche batteria e soprattutto per impararla a suonare. Mi pareva un tempo congruo.
In qualche modo, promettendo cose che voi umani non potreste mai immaginare, convinsi mia madre ad anticiparmi sette mesi di paghette e con quelle 35.000 lire comprai un rullante, un tom, una cassa e un charleston: il minimo sindacale per far finta di essere un batterista.
Imparai da un amico di mio cugino, un “tempo” (solo quello e sempre quello) e mi presentai al provino con la faccia come il culo.
Dopo un pomeriggio di pezzi più o meno diversi dove affrettavo o rallentavo il mio unico ritmo disponibile a seconda delle canzoni, mi sentii dire con entusiasmo dai tre suonatori che ero “veramente bravo”. Ci credetti e divenni un batterista.
Battezzammo il gruppo “The Sunshines” e non possedendo un “impianto voci” mettemmo su un repertorio a base di “Shadows” (un gruppo all'epoca molto famoso che faceva solo pezzi strumentali) e debuttammo nella chiesa di Nostra Signora de la Salette approfittando del fatto che era fresca di costruzione e non l’avevano ancora consacrata.
Durante l’estate trovai un posto come “portapacchi” in uno stabilimento balneare di Ostia: praticamente scippavo le signore delle loro sacche da mare e le accompagnavo alle cabine restituendo il maltolto solo dopo aver ricevuto una qualche mancia. Con gli incassi dei riscatti, a fine stagione comprai la mia prima vera batteria una Hollywood rossa con addirittura un piatto e dalla madre di un mio amico ci facemmo cucire delle divise da “complesso”

Per 10.000  lire a notte, con i nostri brani rigorosamente strumentali, e con i nostri gilet rossi, i sabato sera suonavamo nello scantinato della Chiesa Anglicana di via Nazionale frequentata  solo da studenti americani e, non avendo in repertorio brani cantati, gli yenkee non seppero mai che non conoscevamo neanche una parola d’inglese.
Dopo una stagione di “teen club” così si chiamava la cantina americana, finalmente avevamo il budget per acquistare un impianto voci. Lo comprammo e mettemmo su una raffica di canzoni Beat prese in prestito da Radio Luxembourg che di notte si captava forte e chiara e che poteva facilmente essere registrata. Tutta roba sconosciuta  in Italia e questo ci permetteva di storpiare le parole inventando un inglese maccheronico al limite del lecito.

The Sunshines
Forti del nuovo repertorio, rimediammo una scrittura da Corsetti a Torvaianica, un ristorante su due piani a strapiombo sul mare, era l’ultimo dell’anno del ’64, arrivammo nel tardo pomeriggio, montammo tutta la nostra attrezzatura e orgogliosi del nostro nuovo impianto  infilammo la spina nella presa e: BOOM!  La corrente a Torvaianica viaggiava a 220 volt ma noi eravamo cablati a 125 perché a Roma il voltaggio era quello. Venimmo avvolti da una nube di fumo, quasi presagendo il mio avvenire da Pooh, e vedemmo il nostro impianto Davoli tirare le cuoia. In qualche modo salvammo la serata tornando agli strumentali degli Shadows.
I Sunshines si sciolsero poco dopo per le continue defezioni da innamoramento dei suoi componenti.
Rimasto “scomplessato” mi proposero di accompagnare da solo alle percussioni una serie di spettacoli di Carmelo Bene e Cosimo Cinieri che erano in scena al Beat 72 il leggendario locale underground della capitale. Lo feci senza aver a tutt’oggi capito di che si trattasse, so solo che, di tanto in tanto a mio insindacabile giudizio, attaccavo dei mini assoli di batteria che andavano ad interrompere la performance dei due controversi affabulatori.

Carmelo Bene
I Naufraghi
A 17 anni entrai a far parte di un nuovo gruppo: I Naufraghi e con loro partecipai ad un eterno provino nel neonato Piper Club di via Tagliamento inventato dal mitico Alberigo Crocetta  per un anno suonammo quasi ogni sera, venendo riconfermati a voce e  rimanendo su quel palco giorno dopo giorno  senza aver mai firmato un contratto.
batteria ludwig
Anche i Naufraghi si sciolsero ed io cominciai  ad arrangiarmi come potevo. Aprii un paio di club underground nel cuore di Roma divertendomi a suonare con i gruppi che venivano ad esibirsi nelle mie cantine. Contemporaneamente facevo il “turnista” alla RCA e, lira dopo lira, misi insieme l’anticipo per acquistare la batteria dei miei sogni, firmai una tonnellata di cambiali nonostante non fossi ancora maggiorenne e mi portai a casa  una fiammante Ludwig, la batteria che mi accompagnerà poi con il suo prestigioso marchio per tutta la mia carriera.
stefano con totò
Nel ’68 entrai nel gruppo R&B The Hoters & Pataxo, con loro girai tutti i locali beat italiani. Incidemmo un 45 giri  “Tempo” dove mi cimentai per la prima volta nella scrittura di un testo.
The Hoters & Pataxo
Alla fine di ogni mese però, dovevo inventarmi come pagarne le rate e per riuscirci , mi buttai nel “Cinema” facendo la comparsa e il figurante a Cinecittà. Per il mio aspetto anoressico venivo puntualmente inserito nei cast degli Spaghetti Western dove mi specializzai nelle parti di “Messicani Sfigati” ma feci anche il “capellone” in un film con Totò.
The Hoters & Pataxo
The Hoters & Pataxo
Dopo un lungo contratto con il celebre “Papagayo” di St. Tropez la band entrò in crisi e tornato in Italia, con tre musicisti col pacco, nel 1969 fondammo “Il Punto” prodotto da Alberigo Crocetta
Il Punto
Il Punto
d'orazio a caracalla
Dopo un’esperienza come band d’accompagno del primo Musical Italiano “Cassandra 2000” di Tony Cucchiara ci infilammo per tre anni in tutte le discoteche e club pop italiani. Avevamo un bel seguito e nel ’71 firmammo un contratto con la Beat Records Company con cui incidemmo il singolo “Il mio mondo” che divenne colonna sonora del film “Sessomatto” di Dino Risi.
Nel maggio del ’71 partecipammo allo storico Festival Pop di Caracalla, una sorta di Woodstock nostrano dove il meglio delle band italiane e non si esibirono per due giorni tra le rovine delle terme romane.

A settembre di quell’anno, dopo un sofferto addio ai miei amici del Punto, che di li a poco sarebbero partiti uno alla volta per il servizio militare lasciandomi ancora una volta “scomplessato”,  entrai a far parte dei Pooh. La band aveva appena firmato un contratto con la CBS e, prodotta dal geniale Giancarlo Lucariello, stava già raccogliendo i primi frutti della nuova gestione: avevano appena inciso “Tanta voglia di lei” e subito si erano affacciati alle classifiche.

Venni tosato, abbigliato ed accolto dal più bel gruppo di lavoro con cui avessi mai avuto a che fare e con loro iniziai la straordinaria avventura che ha colorato tutta la mia vita.

stefano look prima
stefano look dopo
Fu un’eternità di grande lavoro e grandissime soddisfazioni che una  biografia dettagliata e precisa, è riuscita a raccontare per il meglio.    VEDI BIO POOH

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